Nel 2001 Jim O’Neill, funzionario della banca d’investimento Goldman Sachs, redasse un documento in cui si sosteneva che la ridefinizione del futuro assetto planetario avrebbe risentito dell’influenza di quattro poli geoeconomici, corrispondenti a Brasile, Russia, India e Cina. I dati analizzati da O’Neill indicavano che nell’arco di pochi decenni questi paesi avrebbero conosciuto una crescita economica tale da mettere in scacco il primato detenuto dai paesi riuniti nel G6. Appare quindi necessario comprendere la natura di questa nuova alleanza strategica.
La Russia, di converso rispetto alla Cina, ha curato maggiormente l’aspetto geopolitico dell’alleanza, ponendo ripetutamente l’accento sulla necessità di evitare sbilanciamenti riguardo alle forze nucleari, che l’innalzamento del cosiddetto “scudo antimissile” da parte degli Stati Uniti provocherebbe inevitabilmente. Mosca e Pechino si sono però espresse all’unisono riguardo alla necessità di istituire un sistema economico mondiale sganciato dall’egemonia del dollaro, cosa che ha consentito per decenni agli Stati Uniti di esercitare un’enorme influenza sugli equilibri mondiali e al popolo nordamericano di vivere nettamente al di sopra delle proprie possibilità, a spese del resto del mondo. Negli Stati Uniti il ciclo del consumo è del tutto sproporzionato alla reale capacità economica del paese, che importa merci prodotte in tutto il mondo in cambio di dollari stampati ex nihilo, necessari ai paesi esportatori per accedere agli approvvigionamenti energetici indicizzati alla valuta statunitense.
L’India, dal canto suo, ha aderito entusiasticamente al gruppo fin dai primi istanti, condividendo con Russia e Cina la necessità di porre un freno alla tendenze unilaterali degli Stati Uniti, specialmente alla luce dell’ambiguo rapporto che Washington stava intessendo con il Pakistan. La collaborazione con Mosca e Pechino ha temprato le capacità diplomatiche indiane e consentito a Nuova Delhi di ritagliarsi uno spazio tra quelli che Zbigniew Brzezinski definiva “attori geostrategici”. L’approccio pragmatico dell’india verso le relazioni internazionali ha però portato ad un avvicinamento strategico con Washington, in specie in seguito ai dissidi statunitensi con Islamabad (che stava avvicinandosi alla Cina) e all’accesso alle tecnologie nucleari accordato al Primo Ministro indiano Manmohan Singh dal Presidente George Bush junior. A ciò si deve l’estrema sensibilità dell’India riguardo alle posizioni di contrasto agli Stati Uniti assunte da Russia e Cina.
La Cina è la seconda economia mondiale ed è destinata a superare anche gli Stati Uniti, in forza di una capacità produttiva e di una abilità diplomatica che permetterà sia al paese che all’intero blocco dei BRICS di acquisire un peso crescente nello scacchiere internazionale. Spostando l’asse della crescita dalle esportazioni al consumo interno, Pechino mira a ridistribuire la ricchezza in modo da placare i venti secessionisti che spirano sulla regione dello Xinjiang, attanagliato dalla disoccupazione. Nel medio periodo, la forza economica della Cina sarà suscettibile di rimodellare i rapporti di forza in seno al gruppo BRICS, trasferendo il cardine dell’alleanza da Mosca a Pechino (che nutre interessi incomparabilmente maggiori verso gli Stati Uniti), ma è comunque presumibilmente che sarà l’abilità strategica russa ad orientare le mosse fondamentali del gruppo.
La reazione occidentale al BRICS fu inizialmente improntata alla prudenza. Negli Stati Uniti, il triangolo India-Cina-Russia appariva come una sfida nei confronti dell’Occidente, dettata dai deliri di onnipotenza di una generazione di leaders politici particolarmente sprovveduti. Ma l’integrazione nell’alleanza di Brasile stava a significare che Nuova Delhi, Pechino e Mosca stavano rispondendo colpo su colpo ai tentativi statunitensi di controllare il rimland, riuscendo a penetrare nientemeno che in quello che Henry Kissinger definiva il “cortile di casa”.
L’ingresso del Brasile in un’alleanza di cui fanno parte Russia e Cina e l’irrompere della crisi economica aggravata dalle endemiche turbolenze dei mercati finanziari, stava minando le sovranità nazionali in Europa e insinuando, anche tra i più fedeli alleati di Washington, il sospetto che il “nuovo secolo americano” fosse in realtà durato poco più di un decennio. Di converso rispetto a questo desolante scenario si sono imposti i tassi di crescita della Cina e dell’India e l’affermazione definitiva del Brasile, che ha cominciato a mettere a frutto il suo enorme potenziale. Tutte queste ragioni hanno fatto in modo che il BRICS non potesse più essere ignorato.
I più scettici osservatori occidentali ritengono che le differenze strutturali che vigono in seno all’alleanza e le carsica concorrenza strategica che vige tra Russia e Cina siano destinate, nel lungo periodo, a compromettere qualsiasi genere di collaborazione di ampio respiro. Ma nonostante ciò, la struttura portante del BRICS appare piuttosto solida, anche in virtù del fatto che i paesi membri di questo gruppo formano un collettivo straordinario. Essi rappresentano il 43% della popolazione mondiale, mettono insieme oltre il 26% del prodotto interno lordo mondiale e detengono riserve pari a circa 4.000 miliardi di dollari. Sembra che Cina ed India siano destinate a divenire rispettivamente la prima e il terza economia mondiale entro il 2050, mentre Brasile e la Russia andranno si attesteranno in quinta e sesta posizione.
Le scelte strategiche concordate congiuntamente dalle potenze che compongono questa alleanza sono quindi destinate ad esercitare un peso assai consistente nella determinazione degli equilibri politici ed economici internazionali. E non è un caso, a questo riguardo, che il coefficiente strategico dei BRICS sia aumentato nel corso di questi ultimi anni.
Durante il vertice di Nuova Delhi del 29 marzo, i rappresentanti di Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa hanno sottolineato la necessità di costituire un sistema internazionale che garantisca una maggiore rappresentanza ai paesi emergenti e in via di sviluppo, specialmente in relazione alle scelte che concernono la governance globale, e hanno espresso forti preoccupazioni riguardo alle politiche economiche e finanziarie propugnate nei paesi sviluppati. Hanno ribadito l’imperativo inderogabile di adottare politiche macroeconomiche responsabili che frenino la crescita ipertrofica dei mercati finanziari. Hanno puntato il dito contro il meccanismo di funzionamento del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, che sono organi su cui si base la supremazia geoeconomica statunitense. Hanno discusso i termini per la creazione di una banca di sviluppo che finanzi nuovi progetti infrastrutturali nei BRICS e in altri paesi in via di sviluppo.
Le iniziative discusse nel corso di questo quarto vertice dei BRICS sono finalizzate ad istituire un sistema finanziario globale che sfugga al controllo centralizzato di una manciata di paesi sviluppati e che tenga conto delle necessità di tutti, attraverso il progressivo abbandono del dollaro quale valuta di riferimento internazionale. La Cina, che detiene riserve pari a circa 1.400 miliardi di dollari, sta attrezzandosi in questo senso riducendo costantemente la propria esposizione, attraverso l’adozione di valute (yuan, yen, euro, ecc.) alternative a quella statunitense.
In ambito geopolitico, i BRICS si oppongono a qualsiasi operazione militare nei riguardi dell’Iran, mentre riguardo alla Siria mantengono un posizione più cauta, che non ignora gli interessi occidentali e arabi pur rifiutando tassativamente il cambiamento di regime auspicato da Washington in primis.
Le remore della Cina hanno inoltre frenato la spinta propulsiva che inizialmente mirava a fare dell’India un membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ciò rispecchia i dissidi esistenti in seno alla realtà dei BRICS, ma non intacca il potenziale di questa alleanza geostrategica, che è inesorabilmente destinata ad acquisire un peso decisivo nella ridefinizione dei rapporti di forza che sorreggeranno lo scenario multipolare che va delineandosi.