La grande irritazione dimostrata dai paesi che attualmente sono alla guida dell'”integrazione” del mondo arabo – Arabia Saudita e Qatar – durante e dopo la conferenza del “Gruppo degli Amici della Siria” tenutasi a Tunisia, punta ai crescenti problemi del progetto di integrazione wahhabita dall’Atlantico all’Iran. In sostanza, la “soggettività” dell’ecumene arabo sotto il patrocinio di Arabia Saudita e Qatar, è attualmente sottoposto a un test di stress in Siria.
Il grande interesse che il mondo ha dimostrato verso la primavera araba, conferma ancora una volta che negli ultimi anni, le terre del mondo arabo sono state fondamentali per la formazione di un nuovo contesto geopolitico internazionale. Questo non è sorprendente, dato il ruolo notevolmente rafforzato dalle risorse energetiche della regione, nel sistema energetico globale e, soprattutto, l’incapacità dei paesi arabi a sviluppare il loro spazio politico, economico e umanitario, e a creare uno stabile sistema di relazioni estere (come quello dell’UE, per esempio).
La situazione si è aggravata negli ultimi tempi, perché, mentre gli statunitensi stabilivano la musica dopo la fine della Guerra Fredda, i principali concorrenti degli Stati Uniti in Medio Oriente – Unione europea, Cina e Russia – hanno intensificato le loro attività a seguito dei tre errori di Washington: Camp David-2 nel 2000, la guerra all’Iraq e la politica di “democratizzazione totale” dei paesi arabi, dalla metà del decennio scorso. La situazione nella regione era anche paradossale, perché i paesi non arabi erano gli opinion leader della regione, fino agli eventi rivoluzionari dello scorso anno, nonostante il fatto che gli arabi (o più precisamente, i popoli di lingua araba) costituiscono la stragrande maggioranza della popolazione del Grande Medio Oriente e occupano la maggior parte del suo territorio, con un totale di 21 stati (o 22, se il “quasi-stato” della Palestina viene contato). Questi paesi sono l’Iran, Israele e, più recentemente, la Turchia, che sembra aver finalmente smesso di sbattere la testa contro il muro dell’Unione europea, e ha spostato il suo indirizzo di politica estera sul Medio Oriente, mentre si dedica pienamente a plasmare il mondo turcofono (un argomento di cui ho scritto in precedenza circa). Tra i paesi arabi, solo l’Egitto di Mubarak e l’Arabia Saudita si sono distinti. Con uno degli eserciti più potenti della regione, l’Egitto è stato tradizionalmente considerato un paese chiave, con l’Arabia Saudita che detiene il 25% delle riserve mondiali di petrolio.
La disunione e la debolezza del mondo arabo hanno portato alla formazione di organizzazioni extraterritoriali cosiddette islamiche, in tutta la regione (alcuni esperti li chiamano ordini religiosi). Sono dei singolari stati all’interno degli stati (come Hezbollah o dei Fratelli Musulmani), o una rete ben sviluppata che si estende su tutta la regione (come la semi-virtuale al-Qaida). Le disinibite regole di comportamento in questo Klondike dell’energia, come un vulcano attivo in eruzione ininterrotta, a quanto pare hanno già infastidito e spinto alcuni governanti eccessivamente attivi, delle monarchie arabe del Golfo, a compiere sforzi d’integrazione.
Gli “integratori” del Golfo Persico
Più la primavera araba si sviluppa, più assomiglia ad una lotta parrocchiale per il dominio nel mondo arabo. E la “prima linea” tra i regimi monarchici autoritari e teocratici (l’Arabia Saudita e le cosiddette “piccole” monarchie della penisola arabica, in particolare il Qatar) e i regimi, moderati/estremi, quasi militari, autoritari e, soprattutto laici (soprattutto in Egitto, Siria, Libia, Algeria) diventa sempre meglio delineata. In questa fase della lotta assistiamo a quest’ultimi che vengono “schiacciati” dal primo, il cui simbolo è stata la trasformazione della Lega degli Stati Arabi nel “ramo esecutivo” del Gulf Cooperation Council.
Credo che ci siano tre componenti nel successo dei paesi del Golfo. Prima di tutto c’è, ovviamente, l’alto sviluppo socio-economico delle monarchie del Golfo in confronto con gli altri Stati arabi, le loro economie relativamente stabili e le loro ingenti risorse finanziarie, derivanti dalle esportazioni di energia. Nell’era dell’informazione, tuttavia, non è la cosa più importante. Il ruolo chiave nella riuscita lotta contro gli amici-nemici secolari è stato svolto dai media (principalmente i canali televisivi satellitari al-Jazeera e al-Arabiya) e dalle reti sociali, che sono state attivamente impegnate nella propaganda, così come hanno definito e sostenuto l’uso sapiente delle difficoltà oggettive degli altri paesi del mondo arabo (l’alto livello di corruzione nei vari livelli di governo, la polarizzazione sociale delle società, l’inefficace meccanismo di trasferimento dei poteri, ecc.)
Certo, dovrei menzionare anche il cambio della politica strategica degli Stati Uniti verso la regione, che Qatar, Arabia Saudita e le monarchie del Golfo hanno sfruttato per i propri scopi. Questo è evidente nel rifiuto della politica di “democratizzazione totale” degli stati mediorientali e nella politica di formare un “asse di stati moderati per mantenere la stabilità” in Medio Oriente, come contrappeso all'”asse dell’estremismo nella regione” (Iran-Siria-Hezbollah).
A quanto pare, però, i successi attuali della “locomotiva” saudita-qatariota dell’integrazione della regione, sono solo di natura tattica. Ed è prematuro dire se il progetto di integrazione arabo auspicato dal GCC stia riuscendo. Ci sono forti ragioni per dubitarne, soprattutto sul piano intellettuale.
La fine della corsa all’integrazione?
Negli Stati arabi, abituati al fascino del secolarismo da decenni, vi sono crescenti preoccupazioni sulla diffusione del modello wahabita di organizzazione sociale, che è intrinseco alle correnti principali “integratrici” del mondo arabo. Pertanto, mi permetto di suggerire che i successi attuali degli islamisti in Egitto, sono temporanei. Credo che chiunque abbia vissuto lì per anni e conosca bene gli egiziani, sarebbe d’accordo con me. Il voto della Lega Araba a gennaio contro l’opzione del Qatar per risolvere la situazione siriana, da parte di certi membri “non affidabili” della Lega, come Libano, Algeria, Iraq ed Egitto, è stato indicativo in tal senso. E’ anche importante tener conto dei “giocatori” regionali non-arabi (Iran, Turchia e Israele), che hanno ambizioni diverse rispetto alle monarchie arabe della regione nel loro complesso, e in particolare riguardo all’ecumene arabo.
Sebbene i progetti di integrazione regionale avviati da Turchia e Iran appaiano anch’essi poco promettenti, a causa della tradizionale sfiducia che l’opinione pubblica araba sente verso le ambizioni imperiali di entrambi i paesi, complicano notevolmente i tentativi d’integrazione di Qatar e Arabia Saudita.
In generale, nonostante tutti gli sforzi, il mondo arabo ha subito grandi cambiamenti verso l’acquisizione di una “soggettività”. L'”unità per l’integrazione” di Doha e Riyadh sta sensibilmente svanendo a causa della testardaggine di Damasco. La Lega degli stati arabi sta lentamente tornando alla normalità – una confusione pan-araba – e le sagome familiari dei giocatori più importanti del mondo stanno venendo sempre più alla ribalta, nella regione. E questo significa che il mondo arabo, a quanto pare, rimarrà un “banco di prova” internazionale – una zona in cui i vari progetti geopolitici delle potenze mondiali, possono essere attuati.
Fonte: New Eastern Outlook