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Posizione della Cina sulla crisi siriana

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Il redattore di “Eurasia” Stefano Vernole, inviato a Damasco nel novembre 2011, è stato intervistato da Radio Globale sulla posizione assunta dalla Cina nei confronti della crisi siriana. L’intervista andrà in onda nei prossimi giorni durante una trasmissione di approfondimento prodotta dalla televisione internazionale Global Broadcasting Media Management. Proponiamo qui una sintesi dell’intervento di Vernole.

 
 

Appoggio ad iniziativa diplomatica della Russia per una risoluzione pacifica della crisi siriana, con invio di osservatori internazionali nel paese: Piano Annan.
La Cina ha teoricamente pochi interessi diretti, anche se secondo la Commissione Europea è il terzo paese importatore della Siria per contratti dal valore di oltre 2 miliardi di dollari. La Siria a sua volta, pur importando poco dalla Cina (solo l’1 per cento del suo export totale) resta uno snodo commerciale fondamentale per la Cina in Medio Oriente. La compagnia petrolifera China National Petroleum Corporation (CNPC), inoltre, è in joint venture con la Compagnia nazionale petrolifera della Siria.
Reali motivi della posizione assunta dalla Cina sulla crisi siriana:

1) Stretti legami economici con l’Iran, storico alleato di Damasco; Teheran, in caso di caduta di Assad, rischierebbe di ritrovarsi isolato nella zona. In particolare vi sono due contratti firmati nel 2004, della durata di 25 anni, per l’importazione di centinaia di tonnellate di gas naturale; inoltre ci sono altri importantissimi contratti per l’esplorazione da parte delle compagnie cinesi dei giacimenti di gas e petrolio iraniani. Circa il 14% del fabbisogno petrolifero cinese viene importato dall’Iran. Ci sono anche intese con Teheran per un nuovo modello di relazioni internazionali, collaborazioni sul piano politico, militare e per il suo programma nucleare.

2) Rispetto del principio di non ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano: la Cina teme che rivolte come quella in Siria vengano associate a quelle periodicamente attizzate dall’esterno, in Tibet e in Xinjang, per non parlare di Taiwan. Pechino sa benissimo che dietro alla “rivolta siriana” e alla retorica dei “diritti umani” si celano gli interessi dei Fratelli Musulmani e soprattutto quelli delle grandi potenze occidentali, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti in primis e quelli della Turchia, del Qatar e dell’Arabia Saudita; sa benissimo che sono soprattutto le città di frontiera, da dove vengono infiltrati i commandos qaedisti (provenienti da Iraq, Libano, Turchia, Giordania), ad essere interessate da scontri militari che con le manifestazioni pacifiche di alcuni reali oppositori non c’entrano nulla.

3) Precedente libico del 2011: in questo caso una Risoluzione dell’ONU che autorizzava la Comunità Internazionale a prendere misure per la difesa dei civili libici, approvata con l’astensione di Mosca e Pechino, consentì alla NATO di aggredire militarmente la Libia ed occupare militarmente il paese, dal quale sono dovuti scappare oltre 20.000 lavoratori cinesi. La Cina (così come la Russia) vuole evitare il ripetersi di quello scenario in Siria e per questa ragione ha votato contro le strumentali condanne avanzate all’ONU dagli Stati Uniti e dai suoi alleati.

4) Prospettiva di un mondo multipolare; la Cina sta sviluppando, ormai dai tempi del mancato riconoscimento del Kosovo nel 2008, una diplomazia mondiale parallela, che poggia soprattutto su alcuni documenti comuni elaborati dai Paesi del BRICS. Punto decisivo di questa nuova “dottrina del non allineamento”, che viene portata avanti soprattutto da Mosca e da Pechino, è impedire una risoluzione unilaterale delle controversie internazionali, come accaduto a partire dalla guerra all’Iraq del 1991 fino ad oggi, a causa dell’aggressività militare degli Stati Uniti e dei suoi alleati della NATO.

5) Questa diversa prospettiva multipolare deve essere completata da un nuovo ordine economico e finanziario mondiale, che la Cina sta cercando di tessere, insieme ai paesi del BRICS, creando la Banca mondiale di sviluppo e conferendo maggior forza all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Dopo aver iniziato un processo di diversificazione monetaria ed essersi parzialmente sbarazzata dei dollari accumulati negli anni (essenzialmente per comprare petrolio e materie prime sul mercato internazionale dove i prezzi vengono fissati in dollari), la Cina punta ora ad una nuova moneta di riferimento internazionale, che dovrebbe essere composta da un paniere di diverse valute, dallo yen, al rublo, all’euro ecc. una moneta che porrebbe fine all’egemonia del dollaro. Non è una caso, infatti, che tutti i Paesi aggrediti o messi sotto accusa negli ultimi anni dagli Stati Uniti (Iraq, Libia, Siria, Iran, Venezuela) avessero deciso di vendere alcune quote delle proprie riserve petrolifere in euro e non più in dollari.

 
 

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