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D. A. Bertozzi – A. Fais, “Il Risveglio del Drago”, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2012

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Le lusinghiere parole del Console Generale della Repubblica Popolare Cinese, che ha paragonato “Il Risveglio del Drago” nientemeno che al Milione di Marco Polo, rappresentano meglio di tutte il gradimento che il lavoro dei due studiosi Andrea Fais e Diego Angelo Bertozzi ha riscosso proprio nell’Anno del Drago cinese.

Si tratta di un libro che, a partire dal discorso tenuto del Presidente Hu Jintao in occasione del novantesimo annivesario dalla nascita del Partito Comunista Cinese, fa il punto della situazione attuale soprattutto da un punto di vista geopolitico e indaga gli scenari futuri alla luce del recente passato del gigante asiatico. E’ un libro questo che fa piazza pulita di tutti i luoghi comuni ai quali siamo tristemente abituati in questo angolo di mondo chiamato “occidente”, e ci aiuta a comprendere meglio le peculiarità di questa “via cinese al socialismo”, che permette all’ex Celeste Impero una crescita annua del 9%. Aver costruito con saggezza e pazienza un sistema politico ed economico assolutamente unico nel suo genere, rende immune la Cina dalle endemiche crisi speculativo finanziarie che stanno gettando nella miseria tutte le economie legate alla piovra capitalista anglo-americana. Anzi, a tutt’oggi è Pechino la maggiore detentrice dell’immenso debito statunitense.

Ma per capire la fase ascendente che sta attraversando la Cina è indispensabile conoscere il suo passato di umiliazioni e sopraffazioni subite; per questo motivo la prima parte del volume analizza il triste passato dell’ex Celeste Impero a partire proprio dal declino della dinastia Qing. In quel periodo -seconda metà del XIX secolo- la Cina era un paese prevalentemente agricolo, semifeudale e arretrato. La dinastia Qing era debole e corrotta e il  paese era preda degli appetiti coloniali delle potenze colonialiste, alle quali erano concessi ampi margini di manovra sia da un punto di vista economico che politico. Questa condizione di semi-colonia portò al crollo dell’Impero e alla nascita della Repubblica Cinese nel 1912, di cui primo presidente fu Sun Yat-sen, tuttora considerato padre della patria. La Cina conobbe così il nazionalismo e nel 1921, sull’onda della Rivoluzione sovietica, nacque e si diffuse in Cina il Partito Comunista Cinese di Mao Zedong. Tuttavia i contrasti tra il neonato Partito Comunista e il Partito Nazionalista di Chang Kai-shek non tardarono a manifestarsi, fino a culminare nel 1933 nella Lunga Marcia, durante la quale le forze comuniste ebbero il tempo di riorganizzarsi. Nel 1937 il Giappone invase nuovamente la Cina e la liberazione dall’occupante giapponese diventò il cavallo di battaglia del Pcc di Mao, in contrasto con il proditorio collaborazionismo dei nazionalisti. Al temine di una lunga ed estenuante guerra civile e del secondo tragico conflitto mondiale, nel 1949 nasce finalmente la Repubblica Popolare Cinese guidata da Mao Zedong.

Nonostante gli errori commessi da quest’ultimo -la Rivoluzione Culturale e il Grande Balzo in avanti– influenzato dalla Banda dei Quattro di Lin Biao, egli non è stato mai rinnegato ma è tuttora stimato ed apprezzato quale edificatore del socialismo cinese, colui che ha permesso alla Cina di emanciparsi dalle potenze imperialiste. Nel solco tracciato da Mao, la lungimirante presidenza di Deng Xiaoping, seguita da quelle di Jiang Zemin e, oggi, di Hu Jintao hanno permesso alla Cina di essere un paese moderno, rispettato e temuto in ambito internazionale, e il cui obiettivo fondamentale resta quello di garantire il benessere alla maggior parte possibile della popolazione. La continuità con il passato è comunque un ingrediente fondamentale: i Cinesi conoscono la propria storia, hanno imparato dai propri errori e oggi, lungi dallo scimmiottare sistemi occidentali lontani dal loro modo di essere, percorrono senza esitazioni la strada della crescita e dello sviluppo.

Oggi la Cina ha sviluppato un suo peculiare sistema politico-economico detto “socialismo di mercato”, che non ha eguali nel mondo, ed è proprio questa unicità, questa giusta mescolanza di pianificazione e mercato, l’ingrediente segreto del successo cinese. Pechino vuole dimostrare al mondo che socialismo non è sinonimo di povertà, anzi, a ben guardare le dinamiche economiche attuali, sembrerebbe che, volendo fare un’equazione, capitalismo stia a povertà come socialismo stia a benessere. Nel gigante asiatico vige il primato della politica sull’economia, un’economia contraria al debito, incubo che attanaglia invece i paesi occidentali, stretti nella morsa usuraia di Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale Europea. Inoltre Pechino è in prima linea nel tentativo di instaurare un sistema economico svincolato dalla dittatura del dollaro.

A mio avviso comunque, ciò che ha permesso al socialismo in salsa cinese di durare, diversamente ad esempio da quello sovietico, è proprio la sua straordinaria capacità di adattamento. L’avvicinamento agli Stati Uniti nel 1972 al culmine delle tensioni con l’Unione Sovietica segnò la frattura tra un marxismo rigido, irremovibile e destinato ad implodere, e un marxismo dinamico e pragmatico. Proprio questa differente interpretazione del marxismo-leninismo era l’oggetto del contendere: esso doveva essere la linea guida del proletariato rivoluzionario internazionale o non doveva piuttosto essere lo strumento politico di analisi da adattare alle differenti realtà nazionali rivoluzionarie? La Storia sembra aver dato ragione a quest’ultima interpretazione.

Per quanto riguarda poi la politica estera, anche in questo settore la Cina ha mostrato al mondo intero qual è la strada maestra da percorrere nell’ambito delle relazioni internazionali: lontano anni luce dall’arroganza e dall’aggressività dell’imperialismo statunitense, Hu Jintao ha ben ribadito nel suo discorso i quattro punti cardine dell’approccio cinese, vale a dire indipendenza nazionale, completa uguaglianza, rispetto reciproco e non-ingerenza negli affari esteri altrui. Agli antipodi rispetto al razzismo culturale e alla tracotanza dell’amministrazione americana, la Cina dà e pretende rispetto nelle relazioni internazionali; lo pretende in quanto il suo vastissimo territorio è continuamente minacciato dalle spinte separatiste prezzolate come ad esempio in Tibet, dove si trova a fronteggiare la ribellione feudale e reazionaria del Dalai Lama e della sua cricca. Memore di un passato nemmeno troppo remoto in cui la Cina ha visto il suo peso internazionale indebolirsi a causa di una deleteria frammentazione territoriale, oggi Pechino è molto determinata a preservare la propria integrità.

 

In conclusione, risulta chiaro quali sono gli ingredienti che permettono alla Cina del XXI secolo di essere una potenza in continua ascesa, temuta e rispettata: avere cioè sviluppato un sistema assolutamente originale, nel quale la pianificazione delle economie socialiste si concilia con l’apertura verso l’economia di mercato tipica delle economie capitaliste. Un socialismo in salsa cinese, in cui modernizzazione, sviluppo industriale e ricerca del benessere per la popolazione, sono al primo posto nell’agenda politica della dirigenza comunista. L’auspicio è quindi che una Cina forte e prospera costituisca presto un polo geopolitico – ed esempi che vanno in questa direzione non mancano, come i Brics o l’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai- in grado di contrastare l’arrogante unipolarismo statunitense.

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